Autore: Antonio Serafini
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27 giugno 2021
In caso di reati tributari commessi da società, il cui profitto - superando lo schermo societario - sia attribuito a un terzo ritenuto dominus effettivo dell’attività economica, l’irrogazione della confisca di prevenzione nei confronti dello stesso dominus presuppone che sia stata dimostrata la sproporzione tra la disponibilità a qualunque titolo di beni del dominus, acquistati o incrementati in tempi coincidenti con l’evasione, ed il corrispondente reddito complessivamente attribuibile ad esso, ivi compresi i redditi formalmente maturati in capo alle società-schermo. Le norme rilevanti sono le seguenti: a. Fattispecie di evasione di cui al D.lgs. n. 74 del 2000; a tal proposito la Suprema Corte precisa che non si devono distinguere le ipotesi di dichiarazione infedele (art. 4) da quelle sicuramente più gravi di dichiarazione fraudolenta (art. 2 e 3), perché anche nel caso di dichiarazione infedele il reddito prodotto dall’autore del reato, pur essendo di origine lecita, diviene comunque illecito nel momento della dichiarazione infedele, e quindi “lascia immutato il disvalore comunque sotteso all’accumulazione garantita dall’evasione di imposta, realizzata oltre le soglie di punibilità previste ex lege”. b.Articolo 1, lettera b) del D.lgs. n. 159 del 2011 (codice antimafia): “I provvedimenti previsti dal presente capo si applicano a ... coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; c.Articolo 24 del D.lgs. n. 159 del 2011 (codice antimafia): “ il Tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati di cui la persona nei cui confronti è instaurato il procedimento non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare può avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito dichiarato ai fini dell’imposta sul reddito, o alla propria attività economica, nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. In ogni caso il proposto non può giustificare la legittima provenienza dei beni adducendo che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale”. La Cassazione, con la sentenza in commento precisa i termini, i limiti e le modalità da seguire per poter correttamente applicare la confisca di prevenzione, prevista dal codice antimafia, che si sostanzia in una misura patrimoniale a vocazione definitiva adottata all’esito di un giudizio, che solitamente, ma non necessariamente, prende avvio con l’adozione della misura provvisoria ed anticipatoria del sequestro. Nella sentenza viene richiamata e ribadita l’importanza del principio, ormai consolidato, del riferimento “temporale” della pericolosità, nel senso che sono suscettibili di confisca soltanto i beni acquistati nell’arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale (cassazione S.U., Sentenza n. 4880 del 26 giugno 2014); principio peraltro considerato dalla stessa Corte Costituzionale espressione della ragionevolezza e della proporzione della confisca di prevenzione (sentenza n. 4 del 2019). Su un piano generale, l’iter logico da seguire per la corretta applicazione della misura in argomento si articola pertanto nei seguenti passaggi logico-temporali: -Identificazione del momento iniziale della pericolosità; tale passaggio riveste un’importanza fondamentale, perché la misura della confisca può riguardare solo beni acquisiti nel contesto cronologico di espressione della pericolosità sociale o in tempi comunque contigui; con la precisazione che in questo secondo caso è necessario un ulteriore onere argomentativo e probatorio, per giustificare l’attrazione dei beni acquisiti in tempi successivi, seppur contigui, nell’ambito della confisca; -Ricostruzione dell’entità dell’accumulazione illecita derivante da reato; in tale passaggio vanno ricompresi non solo i beni interamente acquistati, ma anche le utilità fatte oggetto di mero incremento di valore, realizzate con le risorse illecite accumulate nel periodo di pericolosità sociale; con riferimento agli incrementi, si pone comunque l’onere di verificare il loro peso relativo, in rapporto al valore complessivo dell’utilità; -Individuazione delle utilità da confiscare, indipendentemente dalla circostanza che siano formalmente intestate al soggetto proposto ovvero siano a qualsiasi titolo nella sua disponibilità. Chiarito il quadro generale di riferimento, la Cassazione si occupa poi del caso particolare della ricostruzione della “sproporzione” tra la disponibilità di beni rispetto al reddito del soggetto proposto, con riferimento alle ipotesi in cui le risultanze processuali abbiano accertato che l’evasione fiscale rilevata sia riconducibile in realtà ad un “imprenditore occulto”, che abbia agito come dominus dell’attività economica, con lo schermo di una o più società di capitali, solo formalmente titolari della detta attività e responsabili della conseguente evasione fiscale. In tale fattispecie, rimarca la Suprema Corte, ai fini del giudizio di sproporzione, il raffronto del valore dei beni acquisiti va fatto non solo con il reddito formalmente in capo al “dominus”, ma anche con il reddito “lecito” (non oggetto di evasione) prodotto dalle società-schermo e sostanzialmente da considerare in capo al dominus di fatto. Soltanto nel caso in cui il valore dei beni acquisiti sia sproporzionato rispetto al reddito dell’imprenditore occulto sommato al reddito “lecito” delle società schermo, si potrà applicare la confisca di prevenzione. Nel caso di specie, nei precedenti gradi di giudizio sulla misura della confisca non si era tenuto conto dei redditi non evasi prodotti dalle società-schermo: di qui l’annullamento del decreto impugnato e il rinvio ad altra sezione della Corte di appello competente. Va infine segnalato un ulteriore aspetto: la irrilevanza nella materia in argomento di un eventuale accertamento con adesione. Infatti, a giudizio della S.C., “l’accertamento con adesione, in linea di principio, lascia inalterato l’illecito penale sintomatico della pericolosità sociale: il recupero di imposta che garantisce, neutralizza solo ex post, e tardivamente, l’accumulazione patrimoniale illecita in origine favorito dall’evasione, destinata a fotografare, in termini non più reversibili, un’abitudine al sostentamento economico, laddove riscontrata in termini di decisiva sensibilità, legata alla riscontrata azione illecita”. Sull’argomento sarebbe forse necessario un compiuto approfondimento, soprattutto alla luce dell’evoluzione normativa in materia di reati tributari: le recenti riforme hanno infatti dato grande rilevanza agli istituti conciliativi, ed in primo luogo all’accertamento con adesione, proprio nell’ambito del processo penale tributario ed in particolare sotto il profilo dell’estinzione del reato o comunque della diminuzione delle pene.